White Light/White Heat (1968)
Registrato: Scepter Studios (NY), Settembre 1967
Prodotto da: Tom Wilson
Se l’album d’esordio era una sfida aperta alle nozioni convenzionali di musica rock, il secondo album è un assalto frontale a qualsiasi barriera culturale ed estetica, e rappresenta il documento più crudo e puro del gruppo all’apice della loro spietata abrasività. Già dall’entusiastico racconto degli effetti delle anfetamine si capisce come questo album, ancora più del precedente (malgrado “Heroin“) possa aver rappresentato una rottura profonda verso una certa trasgressione buonista e annacquata dell’epoca. Il lunghissimo racconto “A Gift“, con un accompagnamento musicale a dir poco geniale fino ad arrivare all’unica canzone “dolce” dell’album (“Here She Comes Now“) ancora non preparano adeguatamente a quello che il lato 2 ci propone: l’esplosione free-jazz maniacale di “I Heard Her Call My Name” e l’epica jam di “Sister Ray“, 17 minuti di rumore, sesso, droga, violenza, chitarre e distorsioni. “White Light/White Heat” è senza ombra di dubbio l’album più difficile e meno accessibile dei Velvet Underground, ma forse quello che meglio rappresenta l’anima del gruppo spogliata di ogni compromesso.
1. White Light/White Heat (2:44)
2. The Gift (8:14)
3. Lady Godiva’s Operation (4:52)
4. Here She Comes Now (2:00)
5. I Heard Her Call My Name (4:05)
6. Sister Ray (17:00)
Durata: 40:12
Lou Reed (Voce, chitarra)
John Cale (Viola, piano, basso)
Sterling Morrison (Chitarra)
Maureen Tucker (Batteria)
Andy Warhol (Concept Copertina)
Acy R. Lehman (Design Copertina)
Billy Name (Fotografia di copertina)
Mario Aniballi (Altre fotografie)
Questo concept, viste le difficoltà di produzione, fu abbandonato definitivamente per le ristampe degli anni ’80 per un più semplice sfondo nero uniforme.
La MGM inglese invece, dal 1976 al 1984, produsse una copertina completamente diversa: tutta bianca con immagini astratte di soldatini.