New York (1989)

opo il flop di “Mistrial“, Lou Reed si prende tre anni di tempo per pubblicare l’album “New York“, composto tra Maggio e Ottobre 1988. Dopo aver raccontato la sua città per tanti anni, finalmente Reed decide di dedicarle un album intero, un insieme di 14 scene che rappresentano il lavoro più maturo e solido di tutta la sua carriera. Anche i temi trattati si fanno più ampi: meno attenzione alla sua storia personale e uno sguardo cinico e duro sui mali del mondo concentrati nella sua città, crocevia di ogni cosa. Ecco allora l’AIDS e la strage da esso perpetrata farsi strada nella bellissima “Halloween Parade“, l’abuso sui minori di “Endless Cycle“, la piaga dei senza tetto in “Xmas in February” e la stupidità del razzismo di “Good Evening Mr. Waldheim“.

Reed spara a zero su tutto, ma lo fa con astuzia, da vero Newyorchese, riuscendo ad evitare il tono predicatorio. Musicalmente Reed spiega tutto nelle note di copertina dell’album: “non si possono battere due chitarre, un basso e una batteria” e la chitarra che sostituisce Robert Quine, il neo assunto Mike Rathke, non ha niente da invidiare al predecessore. Reed torna alle radici del cuore decadente di New York e della sua storia personale, con citazioni e omaggi (“Dime Store Mystery” è dedicata a Andy Warhol) producendo un album duro, ruvido, intelligente, colto; un autentico capolavoro di robusto rock’n’roll letterato.

Il successo è istantaneo e l’album scala le classifice.