IL ROCK DELLE TENEBRE

di Manuel Insolera

(Ciao2001, 1974)

“Rock’n’Roll Animal” è il titolo del nuovo album di Lou Reed, tornato ad essere di nuovo interamente se stesso, come e più di quanto lo è stato all’epoca leggendaria dei Velvet Underground. Il disco è stato registrato dal vivo alla Howard Stein’s Academy di New York. Segue “cavalieri e dame caduti”, un articolo scritto da Lou Reed e che, meglio di tutti, sintetizza la posizione del musicista nel nostro mondo.

Rock’n’Roll Animal“, il nuovo album di Lou Reed, e un pugno nello stomaco che sarà difficilmente dimenticato da tutti coloro che piangono per la morte del rock inteso nel suo originario significato di rottura, di spaccatura generazionale, di grido di dolore di guerra, di autentica manifestazione di una cultura di opposizione.

Il secondo lp solo di Reed, “Transformer“, uscito sotto l’ala protettiva di David Bowie, era sì stato determinante per il suo clamoroso ritorno sulla scena, ma in realtà, a parte alcuni disperati gioielli “punk” come “Walk On The Wild Side“, non riusciva rispecchiare compiutamente l’essenza conturbante del personaggio, dal patto da una sofisticatezza tutta ‘britannica’ non completamente in carattere con la sua “rozza”, “selvaggia”, “oscena” configurazione del tutto ‘americana’. Il successo poteva permettere a Lou di realizzare un nuovo album, “Berlin“, difficile e realmente conturbante, raffinato e maturo e ricco di spettri venuti dall’ombra, di messaggi nascosti e languidi, come un lampo improvviso di malizia sul volto di un bellissimo bambino perverso. Splendore e putrefazione che forse non sono state del tutto compresi dal grosso pubblico, per cui quest’album, pur continuando a vendere molto bene, non aveva uguaglianza il successo di “Transformer“.

Oggi, con “Rock’n’Roll Animal“, registrato interamente dal vivo alla Howard Stein’s Academy of Music di New York,  Lou Reed e di nuovo interamente se stesso, come e più di quanto lo è stato all’epoca leggendaria dei Velvet Underground: perché la formazione che la compagne e tutta composta di giovani “kids” formatisi nei bassifondi di New York; perché la musica è tornata ad essere un ampio respiro, violenta e senza compromessi, calda, grandiosa e “sporche” in tutta la sua rabbiosa potenza; perché il repertorio, tranne qualche eccezione, e lo stesso materiale dei velvet, ancora più stravolto ed amplificato; perché, infine, Lou-Lou si è ricordato di essere americano, si è ricordato che alla base della sua più sincera ed emozionale potenzialità artistica e che rimane soltanto il putridume e il malessere del ghetto, la dissoluzione psico-fisica della persona-artista che rinunci alla sua identità spirituale e sessuale per farsi puro oggetto sacrificale sulla scena-altare rituale, puro filtro in bilico tra la morte della vita di emozioni roventi, disperate, languide, oscure, celestiali, torbide, indistinte che formano lo sconosciuto abisso dell’inconscio. Forse queste parole sembreranno fuori luogo e che ritiene ormai Lou-Lou una star integrata nell’ingranaggio consumistico, per cui anche questo ritorno gli schemi di un tempo non sarebbe nient’altro che un espediente ricreato artificiosamente, e quindi sostanzialmente mistificatorio. Ma a questo punto, bisogna anche affidarsi all’istinto: provate ad ascoltare gli ultimi dischi dei Velvet Underground (quelli del decadimento artistico) e i primi ‘solo’ di Lou-Lou ad eccezione, in parte, di “Berlin“, e poi ascoltate questo: il distacco è netto, è come una spaccatura, di là l’artigiano e di qua l’artista, il poeta, il simbolo emblematico: ascoltando “Rock’n’Roll Animal” si trova esattamente lo stesso tipo di brivido che si trovava l’ascolto dei primi due mortali dischi dei Velvet Underground, quelli con “Heroin“, “I’m Waiting for the man“, “Venus in furs“, “Sister ray“. Lo stesso tipo di brivido. Lo sconvolgimento. La dolcezza equivoca il morbido abbandono, la violenza e le lacrime di rabbia e il rimpianto. Soprattutto il rimpianto, acre, salato. Ascoltando “Rock’n’Roll Animal“, così intimamente legata alla originaria violenza jaggeriana, al culto elettrico di un Dylan ormai sepolto, alla stessa carne purpurea sanguinosa dei velvet re suscitati, possiamo finalmente rendersi conto di come invece non è stato capace di essere. La violenza, la cultura alternativa, la droga, l’estasi sensuale, la carne che si strappa, la rivolta, questi in origine voleva essere il rock quando gli Stones violentavano le menti, quando Bobby e il suo folk-rock elettrico scagliavano in paradiso visioni lisergiche, quando i Velvet Underground sputavano sangue e il languore tra i labirinti di celluloide di Andy Warhol. Quello era il rock, e quello non è più stato: oggi il sistema si è impossessato di tutto, e le platee ingannate applaudono come robot il suono senza senso dei ricchissimi Deep Purple, Grand Funk, Black Sabbath e compagnia, il suono levigato e inerte che sembra il ticchettare di un registratore di cassa, offerto da marionette multicolori che ammiccano da poster, adesivi, magliette.

L’immagine che oggi ci offre Lou-Lou è l’opposto: forse la suprema celebrazione di qualcosa che non esiste più, ma perlomeno è così tremendamente viva… e già vedo i critici del consumo affannarsi a ridimensionare, a ridicolizzare subdolamente, a cancellare il più rapidamente possibile e la portata di questo disco che, diranno, si, è un buon disco di rock, suonato molto bene, ma questo Lou Reed, poverino, sembra tanto una caricatura, con tutte le sue stranezze…

Certo, Lou-Lou non modificherà la situazione, che ormai è immensamente più grande di lui: ma se questo disco andrà in testa alle classifiche, bene, almeno qualcosa sarà riuscito a fare: a resuscitare per un attimo un brivido sepolto, dimenticato. E sarà già molto, moltissimo, il massimo che oggi si possa fare. In questa sede vorrei espressamente limitarmi a sopperire il giusto angolo di visuale dal quale considerare la vera portata dell’album. Un disco splendido: e accetto qualsiasi accusa di parzialità, perché si: in questo caso forse sono realmente parziale, e me ne scuso in partenza con quanti non concorderanno con me nella valutazione di questo album. Quest’articolo e una celebrazione che impegna soltanto me stesso, insieme a chi avrà la ventura di provare lo stesso brivido, la stessa sensazione di vertigine che io provo, quando, per esempio, ascolto questa nuova versione di “Heroin“, così morbida, così struggente, così perversa, così delicata, così… oh al diavolo, lasciatemi ancora un minuto soltanto per sognare.

ARTICOLO ORIGINALE

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Pulsante per tornare all'inizio