I’M WAITING FOR THE MAN
I’m waiting for my man
26 dollars in my hand
Up to Lexington 125
feelin’ sick and dirty more dead than alive
I’m waiting for my man
Hey white boy, what you doin’ uptown?
Hey white boy, you chasin’ our women around
Oh pardon me sir, it’s furthest from my mind
I’m just lookin’ for a dear-dear friend of mine
I’m waiting for my man
Here he comes, he’s all dressed in black
PR shoes and a big straw hat
He’s never early, he’s always late
first thing you learn is that you always gotta wait
I’m waiting for my man
Up to a brownstone up three flights of stairs
Everybody-body’s pinned you, but nobody cares
He’s got the works gives you sweet taste
ah, then you gotta split because you got no time to waste
I’m waiting for my man
Baby don’t you holler darling don’t you ball and shout
I’m feeling good you know I’m gonna work it on out
I’m feeling good, I’m feelin’ oh so fine
until tomorrow but that’s just some other time
I’m waiting for my man, walk it home
STO ASPETTANDO IL MIO UOMO
Sto aspettando il mio uomo
ho 26 dollari in mano
fino all’angolo tra la Lexington e la 125esima
mi sento malato e sporco più morto che vivo
aspetto il mio uomo
Ehi ragazzo bianco che ci fai in questo quartiere?
ehi ragazzo bianco stai facendo il filo alle nostre donne
ah, scusi, signore non mi passava neanche per la testa
sto solo cercando un mio carissimo amico
sto aspettando il mio uomo
Eccolo che arriva, tutto vestito di nero
scarpe da portoricano e un gran cappello di paglia
non è mai in orario, è sempre in ritardo
la prima cosa che impari è che devi sempre aspettare
sto aspettando il mio uomo
Fino al portone di un palazzo in mattoni e su per tre rampe di scale
tutti ti squadrano ma a nessuno importa
lui ha tutto il necessario, te ne da’ un assaggio
poi te ne devi andare perché non hai tempo da perdere
sto aspettando il mio uomo
Tesoro non gridare cara non piangere e non gridare
Io sto bene lo sai che prima o poi riuscirò a farcela
mi sento bene, mi sento davvero bene
fino a domani ma quello è un altro momento
sto aspettando il mio uomo, portala a casa
ANALISI
Se il risveglio di domenica mattina non era stato dei più promettenti, non lo è neanche il primo vero giro sul “lato selvaggio” nella vita delle strade newyorchesi e sui personaggi che la popolano, così cari a Lou Reed. Questa fu una delle prime canzoni candidate ad essere cantate da Nico, ma tutto il gruppo si oppose. L’uomo a cui fa riferimento il titolo non è nient’altro che lo spacciatore: nel gergo delle strade e dei drogati, chi rifornisce la droga è una delle persone fondamentali della propria esistenza, tanto da essere definito “l’uomo”. Questo è il primo brano in cui incontriamo l’inconfondibile tecnica del cinema-verità di Reed; il suo saper cogliere sfumature per raccontare una storia, il suo duro e cinico realismo, le sue sequenze strofiche come primi piani di un film. Reed è sempre un osservatore distaccato, un personaggio in un angolo della scena che guarda e racconta senza giudicare e che, come il migliore dei fotografi, sa immortalare i momenti salienti di una storia lasciando giudizio e interpretazione a chi la osserva. Lo spaccato di vita descritto dalla canzone è quello di uno studente alla ricerca di una dose di droga a Harlem (uptown). Ho sempre visto tradotto il verso “Up to Lexington 125” come un riferimento al numero civico; in realtà il riferimento è all’incrocio tra Lexington Avenue e la 125esima strada (i newyorchesi tendono, colloquialmente, ad indicare solo il numero).
Già dalla prima strofa Reed dà tutti i dettagli possibili: il protagonista è un bianco che, in crisi d’astinenza, arriva a Harlem con “26 dollari in mano” in cerca dello spacciatore che gli possa vendere una dose. La gran raffinatezza del narratore sta nell’accentuare anche le differenze linguistiche, e quindi culturali, dei due personaggi; il nero apostrofa il protagonista, paradossalmente, in termini discriminatori (“Ehi ragazzo bianco”) e sottolinea beffardamente come sia assolutamente fuori luogo in quel posto, passando subito dopo ad un tono minaccioso. La risposta del protagonista, nervoso e in evidente difficoltà, è invece in un registro formale e pomposo, ai limiti del ridicolo: cerca di farsi forte dicendo di avere un “carissimo amico” in zona. Subito dopo arriva l’ancora di salvezza: lo spacciatore. Il suo ingresso in scena è descritto con solennità, come un angelo della morte:
Eccolo che arriva, è tutto vestito di nero
Scarpe da portoricano, e un grosso cappello di paglia
Non è mai in anticipo, è sempre in ritardo
La prima cosa che impari è che devi sempre attendere
L’uomo tanto atteso è finalmente arrivato. Il protagonista/narratore ne è in qualche modo affascinato e nota le sue scarpe così particolari (le scarpe a punta usate dai delinquenti portoricani), il vestito nero, il cappello di paglia. Non ha volto. Non ha voce. Arriva e se ne va in un attimo, una presenza sfuggevole e inafferrabile che bisogna solo attendere, mai far attendere. L’avventura del protagonista continua sotto lo sguardo al contempo indagatorio e noncurante degli altri, su per un palazzo signorile (brownstone); la descrizione fa uso del linguaggio gergale “he’s got the works, gives you sweet taste”/”lui ha le “spade”, te ne da un assaggio” dove “spade” va inteso sia come le siringhe sia come l’attrezzatura per farsi (grazie a Francesco Marchesi) e poi è subito liquidato dallo spacciatore tanto atteso perché “he has no time to waste” (non ha tempo da perdere). L’ultima strofa della canzone è un salto temporale: il ragazzo bianco ha compiuto il suo viaggio, ha speso i suoi 26 dollari e si sta godendo l’acquisto in compagnia della ragazza, che evidentemente non condivide quello che sta facendo.
Il protagonista la zittisce (tesoro non strillare, smettila di fare casino) rassicurandola che ora sta bene, si sente in forma perfetta. La chiusura però non lascia scampo: “Almeno fino a domani, ma quello è un altro giorno” per ribadire la natura ciclica del viaggio e l’attesa dello spacciatore. Quello che Reed descrive in questa canzone non è solo la ricerca di droga, ma l’incontro/scontro tra due mondi estranei che vivono a pochi chilometri di distanza, nella stessa città. Dal testo di “I’m Waiting for The Man” si può ora capire in parte perché la canzone e l’album sono così avversati dalla critica e dalle radio: mai prima d’ora un tema così scabroso come la droga è stata trattata in modo tanto diretto e realistico e, soprattutto, senza ombra di un giudizio morale negativo. L’assenza di tale giudizio, in questa come in altre canzoni ancora più esplicite (“Heroin”), fanno sì che la maggior parte della gente interpretino il testo e la canzone come un invito al consumo di droga. C’è anche una differenza sostanziale con il movimento hippie, che nel 1967 imperversava nei mass media e nella cultura giovanile: gli hippie utilizzano droghe come l’LSD per “aprire le porte della percezione” e per alterare la coscienza. Lou Reed predilige e canta d’eroina e anfetamina senza alcuna motivazione o sovrastruttura se non quella del piacere. Non c’è alcuna esperienza aggregante negli episodi descritti da Reed; anche in questa canzone il protagonista è solo, e vive il momento dell’assunzione di stupefacenti insieme alla sua ragazza, che rimane solo una presenza fisica marginale. Sebbene l’esperienza descritta in “I’m Waiting for The Man” sia stata, per sua stessa ammissione, realmente vissuta da Reed insieme alla sua ragazza Shelley ai tempi del college, è stata da lui abilmente intrecciata con riferimento a “La macchina soffice”, il famoso romanzo di William Burroughs, uno dei suoi scrittori preferiti e una delle maggiori influenze letterarie di Reed. In un passo del romanzo è citata Lexington, e l’attesa dello spacciatore è descritta con la frase “waiting on the Man”. Il titolo della canzone potrebbe essere ispirato proprio da questo passaggio.
“Le canzoni di Lou Reed” di Daniele Federici (Editori Riuniti)
Il termine “pinned” va inteso come “spillati” riferito alle pupille degli eroinomani. Dunque: sono tutti spillati ma a nessuno gliene frega niente, visto che la situazione è condivisa. Altrimenti ha poco senso della gente che ti squadra non esprimendo un giudizio morale. E poi, chi ha fretta? Ovviamente il pusher sempre in giro a lavorare, non il cliente paziente (tema dell’attesa eterna, waiting).
Lou Reed scrive in un modo e canta in un altro. Del resto Jagger degli Stones, consigliato da un vecchio bluesman, sosteneva che non bisogna mai far capire chiaramente le parole di una canzone.
Saluti
Anche qui, Frank, ci spiace non poter confermare la tua interpretazione.
Il protagonista della canzone, un bianco, arriva ad Harlem per incontrarsi con il proprio spacciatore. Le gang di ragazzi di colore lo puntano subito e lo guardano con diffidenza, apostrofandolo subito dopo con “Ehi ragazzo bianco, che ci fai qui?”. La miosi che colpisce gli eroinomani qui non c’entra.
Per quanto riguarda il far comprendere il senso delle canzoni: Lou Reed ha sempre cantato esattamente ciò che era scritto. E voleva che il testo fosse comprensibile e chiaro. I suoi testi erano racconti e poesie, musica per adulti, voleva che si capisse bene cosa raccontava.